lunedì 3 luglio 2000

Kosztolányi e Gor’kij:
un caso di “censura d’autore”?


I fatti e le testimonianze

Nell’estate del 1924 Dezső Kosztolányi fece un viaggio in Italia e approfittò dell’occasione per far visita a Maksim Gor’kij, che all’epoca viveva a Sorrento. Durante la visita i due scrittori parlarono di diversi argomenti; a Gor’kij, che chiedeva informazioni aggiornate sulla letteratura ungherese, Kosztolányi comunicò che un saggio su questo tema presto sarebbe stato pubblicato sulla rivista berlinese fondata da Gor’kij stesso, e parlò anche del proprio romanzo A véres költő, di cui regalò una copia allo scrittore russo.
In seguito Kosztolányi scrisse un articolo sulla visita e ne mandò una copia a Gor’kij, ma non si sa se Gor’kij abbia effettivamente ricevuto l’articolo. Pochi giorni dopo, Kosztolányi scrisse nuovamente a Gor’kij, menzionando l’articolo speditogli e chiedendo un parere sul proprio romanzo. Questa lettera giunse a destinazione, ma non risulta che Gor’kij abbia dato seguito alla corrispondenza e non esistono testimonianze che facciano pensare ad una eventuale risposta.
Le testimonianze di Gor’kij sull’incontro con Kosztolányi sono scarse: qualche appunto e un accenno all’incontro in una lettera alla moglie. Un appunto non anteriore al 18 settembre 1924 testimonia che Gor’kij ricevette la lettera di Kosztolányi del 15 settembre e accenna al desiderio di Kosztolányi di fargli conoscere il suo nuovo romanzo su Nerone, che, come specifica una nota, fu pubblicato in russo da Vremja nel 1927.
Nell’epistolario di Kosztolányi e nell’Archivio Gor’kij non si trova traccia di ulteriori contatti tra i due scrittori.


L’edizione russa del 1927

Come accennato, la versione russa del romanzo A véres költő di Kosztolányi fu pubblicata a Leningrado da Vremja nel 1927 con il titolo Кровавый поэт: si tratta della traduzione di Evgenija Bak dalla versione tedesca di Klein. Si sa che Gor’kij aveva stretti contatti con la casa editrice Vremja, alla quale raccomandò anche la pubblicazione di diverse opere, ed è verosimile che la copia del romanzo tradotta da Evgenija Bak sia proprio quella donata da Kosztolányi allo scrittore russo in occasione del loro incontro a Sorrento.
Kosztolányi, il cui nome venne traslitterato male in Коштолани anziché in Костолани, non venne mai informato della pubblicazione di questa edizione del suo romanzo né dalla casa editrice, né dalla traduttrice, e tantomeno da Gor’kij. Lo scrittore ungherese non ebbe alcun tipo di rapporto con Evgenija Bak, mentre la corrispondenza con altri traduttori ed editori delle sue opere fa comprendere quanto egli tenesse a controllare ogni edizione. Di questa pubblicazione, quindi, Kosztolányi non seppe mai nulla, e di essa non c’è traccia nelle sue bibliografie. Questa versione, infatti, fu “scoperta” negli anni settanta da Ervin Zágonyi, intento a studiare i contatti tra Kosztolányi e Gor’kij.
Il confronto tra l’edizione russa e l’originale ungherese
Dall’analisi di Zágonyi emerge che la traduzione in russo, ove comparata con l’originale ungherese, è frutto di un lavoro accurato, sebbene a tratti ci siano delle omissioni, ma Zágonyi sostiene che queste possono essere attribuite all’infedeltà del testo tedesco.
Tuttavia, alla luce di un più approfondito confronto della versione russa con il testo originale, sono emerse alcune omissioni importanti, quali la lettera di Mann che funge da introduzione, l’epigrafe con le citazioni di Svetonio e di Tacito ed una parte consistente del dialogo tra Seneca e Paolina poco prima della morte del maestro. Il confronto dell’edizione russa con la versione tedesca di tramite e con l’originale ungherese conferma la fedeltà del testo tedesco, pertanto i tagli presenti nell’edizione russa sono inequivocabilmente il risultato di un’abile lavoro di censura di stampo sovietico.
Le omissioni più rilevanti riguardano il XXX capitolo: oltre ai versi di Lucano, manca una parte del dialogo tra Seneca e Paolina, e la lunghezza del testo omesso consente di escludere che si tratti di una svista clamorosa, risultato di un attimo di distrazione. Sembra inverosimile che la traduttrice abbia “dimenticato” di tradurre proprio uno dei punti chiave del romanzo, menzionato nell’introduzione scritta da Mann proprio per l’edizione tedesca: e, anche se nell’edizione russa manca l’introduzione, è difficilmente credibile che la traduttrice non l’abbia neppure letta, e che quindi non abbia prestato un’attenzione particolare al brano in questione.
Nel brano omesso Seneca e Paolina parlano di tutti coloro che sono stati condannati e uccisi per colpa di Nerone, con l’eccezione di Zodico e Fannio: “A középszerűség halhatatlan és a hitványság örökkévaló”, commenta il maestro, specificando che costoro ora fanno i rivoluzionari, poiché questa è l’attività che attualmente paga di più. Paolina comunica a Seneca che a denunciarlo è stato Natale, il suo liberto, e, mentre la donna ha dure parole di condanna per l’ingrato che ha ottenuto libertà e ricchezze grazie al maestro, Seneca dice di non stupirsi molto: ritiene comprensibile che una persona a cui si fa del bene ricambi col male per sfogare l’umiliazione che si prova ad essere aiutati; e spiega che la persona saggia non si amareggia per questo comportamento perché la sua ricompensa risiede nel gioire del bene che ha fatto. In luogo di questo taglio, di circa due facciate, il testo russo presenta la frase “Несколько минут они сидели в печальном раздумьи…”: dunque nessun accenno ai fatti taciuti, neppure un tentativo di sunto, ma solo una frase neutra a confermare l’ipotesi che il taglio sia stato deliberato.
Gli altri tagli operati sul testo riguardano poche frasi alla volta e non comportano significativi cambiamenti al fine di una comprensione sommaria del romanzo, ma, analizzando le frasi ungheresi omesse, risulta chiaro il motivo che ha indotto a compiere i tagli, e questa motivazione spiega anche il grosso taglio del capitolo XXX.
Un primo gruppo di frasi omesse riflette una censura nei confronti delle differenze sociali: nel capitolo XVII manca la frase “De nem mindenki úr, aki annak látszik”, nel capitolo XXIII è stata tagliata parte della descrizione di un arricchito che ha voltato le spalle al lavoro e di cui “csak csempe körmein, rövid ujjain látszik származása, melyek közt most olvasatlanul csorrannak át a megszámlálhatatlan milliók”, nel capitolo XXIX, invece, mancano tutti i connotati fisici e psicologici inquietanti nella descrizione di un gruppo di marinai militari: “Semmi jó nem nézett ki belőlük. Arcukat karmolás és harapás éktelenítette. Üveggyöngyöt viseltek […], érmet a viharok ellen, fülükben függőt”; e ancora: “Karjuk tele volt írva mindenféle jellel, horgonnyal, hajóval. Csak a szemétnép ment tengerésznek, az, melyiknek 1800 sestertius alatt állt a vagyona, a többi inkább a gyalogságnál vagy a lovasságnál szolgált, mert ott a szolgálat könnyebb”. Questi tagli mitigano il ritratto severo che l’autore fa di certe categorie sociali svantaggiate e delle differenze di opportunità che vengono date all’uomo in base all’estrazione sociale. Altrettanto chiara è l’intenzione di censurare un modello di marinaio non conforme ad una certa morale: tatuaggi, monili e superstizioni stridono con l’immagine ufficiale della marina militare sovietica.
Altre omissioni sono dovute ad una censura contro la religione cristiana. Nel capitolo XXXIII, ad esempio, mancano due frasi, “Az ember mind bűnös, aki a világra születik” e “De aki meghal, az mindent jóvátesz. A halottak mind ártatlanok”, che richiamano una certa morale ed un certo modo di concepire colpa ed espiazione. Da questo punto di vista, il nocciolo della questione è la rettitudine dell’uomo, ossia le responsabilità che egli si deve assumere: chi ha operato i tagli non voleva diffondere l’idea che l’uomo nascesse già colpevole o che potesse espiare le proprie colpe con la morte, ma neppure suggerire un passivo atteggiamento da “porgi l’altra guancia”; la morale del censore sostiene il principio per cui a tutti gli uomini sono date uguali possibilità, e chi sbaglia deve assumersene la responsabilità e accettarne le conseguenze.
Nell’ottica della censura morale rientra anche un altro taglio del XXX capitolo: la frase in cui Seneca dice “Nekem azonban, sajnos, állást kellett foglalnom. Ez nem volt nehéz”; l’autore del taglio ritenne inadeguato il tono di biasimo nei confronti dello schierarsi, del prendere una posizione: la morale del censore condanna il non prendere una posizione, la diplomatica ambiguità che Seneca avrebbe preferito.
Questi tagli sono vicini all’omissione nel XXX capitolo: anche il discorso di Seneca, che può essere interpretato con un amaro sapore rassegnato nei confronti dell’uomo, può essere stato taciuto per una censura “morale”, ma anche per i sentimenti “borghesi” espressi in esso.
Un altro taglio riguarda un paragrafo del capitolo XXIX, in cui l’autore esprime delle considerazioni sull’inconsistenza della congiura contro Nerone: “Az éjszakára alapjában semmi szükségük se volt, akár nappal is találkozhattak volna, de az összeesküvők ragaszkodtak az éjszaka titokzatos lepléhez. Ezt regényesnek és izgatónak érezték. Szemük előtt a Julius Caesar elleni összeesküvés lebegett, melynek minden mozzanatát lemásolták, s közben alig gondoltak arra, mit is szándékoznak tenni. Színpadiasan mozogtak és úgy is cselekedtek”. L’autore del taglio ha censurato il sarcasmo nei confronti della congiura e della rivoluzione che avrebbe potuto seguirne per evitare di ridicolizzare, per associazione di idee, i principi della rivoluzione russa. Accanto a questo taglio diventa comprensibile pure l’omissione del commento di Seneca su Zodico e Fannio, “Most forradalmárok, minthogy az jövedelmez legjobban”: l’idea che qualcuno facesse il rivoluzionario per interessi era inaccettabile in Unione Sovietica ed una simile affermazione avrebbe infangato l’immagine del rivoluzionario che si sacrifica per la patria.
L’omissione delle citazioni in epigrafe e dei versi di Lucano nel capitolo XXX, invece, vanno valutate con un metro diverso: non è da escludere che la traduttrice abbia avuto l’intenzione di proporre una versione già esistente di questi versi e che poi, invece, per un qualche motivo li abbia tralasciati, oppure che la versione proposta sia stata tagliata in seguito, ma in questo caso non sarebbe chiaro il motivo della censura.
Infine, le omissioni che non suggeriscono nulla in particolare potrebbero essere davvero delle “sviste”, ma non si esclude certo che un’ulteriore analisi riveli dei risvolti interessanti.
Risulta quindi chiaro che i tagli non sono “sviste” della traduttrice, bensì un’accurata opera di censura attuata in modo da sfuggire ad un primo sommario controllo, come quello effettuato da Zágonyi. E, visti l’importanza dell’autore ed il livello artistico dell’opera, la censura sicuramente non fu eseguita da uno dei “soliti addetti”, ma da qualcuno abbastanza abile e all’altezza di compiere una censura senza destare sospetto, restituendo un’opera tagliata in grado di mostrare un proprio valore ed una propria unitarietà, senza svelare alcun segno di manomissione.
Anche l’omissione dell’introduzione scritta da Mann è comprensibile: se per ragioni di mercato e di prestigio la presentazione di un premio Nobel avrebbe potuto essere prezioso motivo di vanto, il suo testo potrebbe anche essere stato visto come scomodo per il fatto di riprendere certi fatti narrati nel romanzo, come, ad esempio, il capitolo sulla morte di Seneca, di cui è stata tagliata una parte, e di presentarli secondo una certa impostazione (quella di Mann all’epoca era considerata sicuramente “borghese”) che all’autore dei tagli probabilmente garbava poco.


Considerazioni sulle tesi di Zágonyi

Ervin Zágonyi studiò i rapporti tra Kosztolányi e Gor’kij esprimendo le proprie considerazioni e conclusioni in un articolo del 1978 e poi in un saggio del 1990, ma alla luce dei risultati attuali delle ricerche, alcune delle sue affermazioni meritano di essere riconsiderate.
Zágonyi sostiene che se Gor’kij avesse ricevuto e letto l’articolo di Kosztolányi sicuramente non gli sarebbero piaciuti il tono ed i riferimenti alla propria persona, e avanza l’ipotesi che Gor’kij non rispose ad una lettera con una richiesta tanto cortese innanzitutto perché il romanzo non gli sarebbe piaciuto, e poi perché avrebbe sospettato che dietro all’interesse di Kosztolányi ci fosse l’intenzione di sfruttare la sua conoscenza per favorire la diffusione del proprio romanzo, magari anche in Unione Sovietica.
A queste considerazioni si può obiettare che Gor’kij possedeva un senso critico tale da fargli capire il valore letterario dell’opera di Kosztolányi, prescindendo dai sentimenti di simpatia o di antipatia che poteva provare nei confronti dell’autore e delle sue concezioni artistiche. E, anche se Gor’kij avesse nutrito il dubbio che Kosztolányi si fosse recato da lui per interesse, ciò non significa che non avrebbe potuto assecondare il desiderio di Kosztolányi: se è vero, come testimonia lo stesso Zágonyi, che Gor’kij raccomandò alla casa editrice Vremja opere di valore ben inferiore all’opera di Kosztolányi, non c’è motivo di credere che non avrebbe favorito la pubblicazione di questo romanzo solo per motivi personali.
Sulla pubblicazione del romanzo di Kosztolányi, Zágonyi fa notare che sulla copertina del libro sono citate cinque edizioni di Stefan Zweig pubblicate da Vremja, di cui una con un’introduzione scritta da Gor’kij, mentre su Kosztolányi e sulla sua opera non c’è neppure una parola di commento. Zágonyi, che pure sperava di scoprire un’introduzione o un commento dello scrittore russo, crede che Gor’kij sia estraneo alla pubblicazione del romanzo presso Vremja, sostenendo che se ne avesse saputo qualcosa, conoscendo l’indirizzo di Kosztolányi, gliene avrebbe scritto, e ritiene probabile che la fama di Kosztolányi e del suo romanzo raggiunsero la Russia anche senza il tramite di Gor’kij.
Tuttavia, considerando i fatti da un punto di vista diverso da quello di Zágonyi, non sono più validi i presupposti con cui egli sostiene l’estraneità di Gor’kij: accertato che Gor’kij si interessò sinceramente alla letteratura ungherese sia attraverso le domande a Kosztolányi, sia attraverso la lettura del saggio di Schöpflin, sia richiedendo ulteriori ragguagli in merito a Zweig, si può avanzare l’ipotesi che il romanzo di Kosztolányi abbia suscitato in Gor’kij una certa curiosità.
Ricordando che la casa editrice Vremja pubblicò diverse opere di Zweig, di cui almeno una con l’introduzione di Gor’kij, risulta chiaro il legame tra l’editore, lo scrittore russo e lo scrittore austriaco. Zweig, di conseguenza, non poteva ignorare la pubblicazione di un romanzo di Kosztolányi da parte di Vremja, e pare quindi poco credibile che Zweig, sapendo dell’interesse di Gor’kij per la letteratura ungherese, non gliene abbia neppure accennato, sempre ammesso che Gor’kij fino ad allora non ne avesse saputo nulla.
Collegando quest’ultima deduzione con la considerazione di Zágonyi sul fatto che Gor’kij, se avesse saputo qualcosa dell’edizione russa del romanzo, ne avrebbe scritto all’autore, si può anche supporre che Gor’kij fosse a conoscenza della pubblicazione, ma, per un qualche importante motivo, avesse preferito mantenere il silenzio.


Una nuova interpretazione dei fatti

Considerato quanto esposto sino ad ora, il ruolo di Gor’kij nella vicenda della pubblicazione del romanzo di Kosztolányi sembra assai più importante di quanto creduto finora.
Si può ritenere verosimile che sia stato Gor’kij ad inviare in Unione Sovietica la propria copia del romanzo, una copia dell’edizione tedesca appena pubblicata, forse tramite Zweig, che probabilmente esercitò un’influenza positiva su Gor’kij informandolo sulla letteratura ungherese, su Kosztolányi e sul successo che il romanzo stava riscuotendo. Questo spiegherebbe la scelta di tradurre il romanzo dal tedesco, anziché dall’ungherese.
Considerando l’influenza che Gor’kij ebbe nella pubblicazione di altre opere presso Vremja, è credibile che costui, appurato il valore dell’opera e vedendo rafforzata la propria opinione da Zweig, abbia svolto un ruolo determinante per la pubblicazione del romanzo di Kosztolányi. Anche ipotizzando che non sia stato Gor’kij a recapitare il romanzo all’editore e ad influire decisivamente sulla sua pubblicazione, non è credibile che Gor’kij non ne sapesse nulla, perché potrebbe esserne stato informato dalla casa editrice o da Zweig, che era a conoscenza del suo interesse per la letteratura ungherese.
Un ulteriore dettaglio a conferma del coinvolgimento di Gor’kij è costituito dalla nota all’appunto sulla lettera di Kosztolányi: se lo scrittore russo non avesse saputo nulla dell’edizione, sarebbe strano che qualcuno si fosse premurato di documentarsi sul romanzo in questione e di aggiungere quella nota.
Ritenendo verosimile che Gor’kij fosse a conoscenza della pubblicazione del romanzo, si può dedurre che lo scrittore russo deve aver avuto un motivo assai grave e valido per non darne comunicazione all’autore, scrittore che aveva conosciuto personalmente.
Va inoltre ricordato che neppure la casa editrice Vremja contattò mai Kosztolányi: lo scrittore ungherese non percepì mai alcun compenso né ricevette copie saggio di sue opere dall’Unione Sovietica. Potrebbe darsi che il silenzio dell’editore sia imputabile alla riluttanza a pagare per i diritti di pubblicazione, ma è escluso che anche il silenzio di Gor’kij sia imputabile a questo motivo, cioè a non voler compromettere l’editore.
Invece, è assai più credibile che ci fosse un’intesa tra l’editore e Gor’kij in merito al silenzio da tenere con Kosztolányi per salvaguardare un interesse comune ad entrambe le parti. In questo caso, la posta in gioco dev’essere stata piuttosto alta, se Gor’kij acconsentì a mantenere un silenzio che non gli avrebbe permesso di vantare il patrocinio della pubblicazione del romanzo di Kosztolányi. Così, da una parte l’editore avrebbe difeso i propri interessi economici, dall’altra parte Gor’kij avrebbe difeso un interesse molto vivo, come ad esempio la reputazione.
Collegando le considerazioni sui tagli operati sul testo del romanzo con questa ipotesi di compromesso tra Gor’kij e l’editore per mantenere il silenzio, risulta credibile anche l’ipotesi che si sia tentato di proteggere l’opera di censura: se l’autore del romanzo avesse scoperto la manipolazione del testo, avrebbero perso credibilità tanto l’editore, quanto lo scrittore che aveva patrocinato l’edizione, e si sarebbe danneggiata l’immagine del sistema sovietico. Anche l’errata traslitterazione del nome dell’autore può quindi essere un artificio intenzionale, attuato al fine di proteggere il romanzo da un confronto, rendendolo più difficilmente rintracciabile da parte degli studiosi, tanto più che, se così non fosse stato, Zweig o Gor’kij stesso avrebbero sicuramente segnalato all’editore un errore tanto grossolano.
Accettando quanto esposto finora, bisogna considerare anche il fatto che, accanto a tanta attenzione per evitare un confronto con l’originale, pure l’opera di censura dev’essere stata accurata, per evitare che qualche lettore della versione russa potesse sospettare una manipolazione del romanzo, che stava riscuotendo sempre maggiore successo in Europa e negli Stati Uniti. Sicuramente il lavoro di censura fu affidato a qualche scrittore russo che aveva ben compreso l’opera e in grado di effettuare i tagli necessari, senza compromettere l’unità del romanzo e senza lasciare tracce della manipolazione. Alla luce dei rapporti tra l’editore e Gor’kij e dell’interesse di Gor’kij per il romanzo, è possibile che sia stato Gor’kij stesso a svolgere questo intervento; questo spiegherebbe perché la censura avrebbe dovuto essere talmente ben camuffata da sfuggire anche ad un eventuale controllo superficiale, esattamente come accadde a Zágonyi stesso: nel caso malaugurato in cui si fosse scoperto qualcosa, l’edizione non avrebbe dovuto consentire di risalire alla persona che operò i tagli. Probabilmente proprio per questo motivo, cioè per non far cadere su di sé il sospetto d’aver tagliato il romanzo di Kosztolányi o anche solamente di esserne stato al corrente, Gor’kij non scrisse neppure una riga di presentazione sull’autore o di commento al romanzo. E si può concludere che sia stata questa stessa motivazione ad indurre Gor’kij a mantenere un assoluto silenzio su tutta la faccenda, evitando accuratamente di avvertire Kosztolányi della pubblicazione del suo romanzo in Unione Sovietica.



Bibliografia:
Le edizioni del romanzo:
A véres költő, Budapest, Genius, 1922.
Der blutige Dichter, (trad. di Stefan J. Klein, intr. di Thomas Mann), Konstanz, Wöhrle, 1924.
Кровавый поэт, (trad. dal ted. di Евгения Бак), Ленинград, Время, 1927.

Le testimonianze di Gor’kij:
Летопись жизни и творчества А. М. Горького (Том 3, Москва, изд. АН СССР, 1959).
Переписка А. М. Горького с зарубежными литераторами (Москва, изд. АН СССР, 1960).

Le testimonianze di Kosztolányi:
Levelek – Naplók, (a c. di P. Réz, Á. Kelevéz, I. Kovács), Budapest, Osiris Kiadó, 1996, pp. 1132.

Bibliografia critica:
Foresto, Alexandra, Kosztolányi e Gor’kij: un caso di “censura d’autore”?, Tesi di Laurea discussa alla Facoltà di Lingue e Letterature Straniere, Università di Venezia Ca’ Foscari, A.A. 1999-2000.
Zágonyi, Ervin, Kosztolányi és az orosz irodalom, “Modern filológiai füzetek”, 47, Budapest, Akadémiai, 1990.
Zágonyi, Ervin, Kosztolányi és Gorkij, in “Irodalomtörténeti közlemények”, Budapest, Akadémiai, annata 1978, fasc. 5-6.



Appendice: Il brano tagliato dal capitolo XXX di A véres költő

L’originale ungherese

Paulina megkérdezte:
- És még sokan?
Seneca intett:
- Nagyon sokan.
- Zodicus és Fannius is?
- Ők nem – felelt Seneca. – Nekik semmi bajuk. Most forradalmárok, minthogy az jövedelmez legjobban. A társaik jó helyre bújtatták őket. Sohase bukkannak nyomukra. A középszerűség halhatatlan és a hitványság örökkévaló.
Kiélték a szomorúság és gyász érzését, s mint ilyenkor történni szokott, másról kezdtek beszélni.
- Tudod, ki adott föl? – kérdezte Paulina. – Natalis – mondta csodálkozva.
- Natalis? – kérdezte Seneca és kicsit maga is csodálkozott.
-Ő – felelte Paulina – az, akivel annyi jót tettél, mint senkivel, és semmit se vétettél ellene, soha. Hiszen fölszabadítottad a rabszolgasorsból és egész vagyonát tőled szerezte.
Szava elakadt. Percekig nem tudták megérteni az emberi elvetemültség e mértéktelenségét, és ez mindkettőjüknek láthatóan fájdalmat okozott.
- A hálátlan – szólt Paulina megvetően –, a rabszolga. Én nem értem.
- Én értem, kedves – mondta Seneca. – A hálátlanság sohase érthetetlen. Sokszor találkoztam vele az életben, többször, mint a hálával, ezért nem is lehet természetellenesnek neveznem. Sőt, a hálátlanság nagyon emberi. Azok, akikkel rosszat teszünk, sokkal ritkábban állanak bosszút, mint azok, akikkel jót tettünk. Azt tapasztaltam, hogy lekötelezettjeink bizonyos idő múltán, később vagy hamarabb menthetetlenül meggyűlölnek bennünket. Ennek pedig egyszerű a magyarázata. Akik pénzt vagy szellemi segítést fogadnak el tőlünk, megalázódnak azáltal, hogy reánk szorulnak, és aztán visszafizetik a keserűséget, melyet tőlünk kaptak. Folytonosan azt hallod, hogy a pártfogolt jótevője ellene fordult, noha tőle várta legkevésbé. A bölcs azonban várja ezt a jutalmat. És nem fáj nagyon neki. Mert ő tudja, hogy nem azok szeretnek bennünket, akikkel jót teszünk, hanem mi szeretjük azokat, akikkel jót tettünk, mindig jobban és jobban, a saját áldozatkészségünk tudatát szeretjük bennük, amire visszaemlékezni kellemes vagy helyesebben a hatalmunk, leereszkedésünk emlékét, amint ők is az ezáltal előidézett megalázást gyűlölik bennünk, amire emlékezni határozottan kellemetlen. Miért haragudjak Natalisra? Csak ő haragudhat reám. Én pedig mindig inkább szeretem, még most is jólesik elgondolni, mit műveltem érte, hogy feledem aljasságát és bámulom tulajdon jóságomat, mely nem halványul el hitványságától.
Hogy ezt megértették, enyhülten mosolyogtak, többé nem is vádaskodtak, mert csak a rejtélyes okoz szenvedést.

La versione tedesca di Klein

Paulina fragte:
„Und noch viele?“
Seneca nickte:
„Sehr viele.“
„Auch Zodicus und Fannius?“
„Die nicht,“ entgegnete Seneca. „Denen ist nichts geschehen. Die sind jetzt Revolutionäre, weil es das Einträglichste ist. Ihre Gefährten haben sie an sicherem Ort verborgen. Man wird sie nie entdecken. Die Mittelmässigkeit ist unsterblich und die Gemeinheit von ewigem Bestand.“
Sie durchlebten die Gefühle des Kummers und der Trauer, begannen dann, wie dies zu geschehen pflegt, von anderem zu sprechen.
„Weisst du, wer dich angezeigt hat?“ fragte Paulina. „Natalis,“ sprach sie staunend.
„Natalis?“ fragte Seneca und staunte auch selbst ein wenig.
„Er,“ antwortete Paulina, „er, dem du so viel Gutes getan, wie keinem sonst, und dem du nicht das geringste Leid zugefügt, niemals. Befreitest doch du ihn aus der Sklaverei, und er erwarb sich auch sein ganzes Vermögen von dir.“
Ihre Worte stockten. Sie vermochten Minuten lang diese Masslosigkeit menschlicher Verkommenheit nicht zu erfassen, und dies verursachte beiden sichtlich Schmerz.
„Den Undankbare,“ erklärte Paulina verächtlich, „der Sklave. Ich verstehe ihn nicht.“
„Ich verstehe ihn, Liebste,“ sagte Seneca. Der „Undank ist niemals unverständlich. Ich begegnete ihm oft im Leben, häufiger als dem Dank, und ich kann ihn somit nichtunnatürlich, oder unmenschlich nennen. Ja, der Undank ist sogar etwas höchst Menschliches. Denen wir Schlechtes tun, die rächen sich viel seltener, als jene denen wir Gutes getan. Ich machte die Erfahrung, dass die uns Verpflichteten nach einer gewisser Zeit, später oder früher, uns unweigerlich zu hassen beginnen. Und dies hat eine höchst einfache Erklärung. Die von uns Geld oder eine geistige Hilfe annehmen, demütigten sich dadurch, dass sie auf uns angewiesen waren, und zahlen dann die Bitterkeit zurück, die sie von uns bekommen. Du hörst immer wieder, dass sich der Schützling gegen seinen Wohltäter wandte, obzwar dieser es von ihm am wenigsten erwartet hätte. Der Weise jedoch erwartet eine solche Belohnung. Und sie schmerzt ihn nicht sehr. Denn er weiss, dass nicht jene uns lieben, denen wir Gutes tun, sondern dass wir jene lieben, denen wir Gutes taten, immer mehr und mehr, lieben in ihnen das Bewusstsein unserer eigenen Opferwilligkeit, an die uns zu erinnern angenehm ist, oder richtiger gesagt: die Erinnerung unserer Macht, unserer Herablassung, wie auch sie in uns die dadurch hervorgerufene Demütigung hassen, an die sich zu erinnern entschieden unangenehm sein muss. Weshalb sollte ich Natalis zürnen? Nur er kann mir zürnen. Ich aber liebe ihn immer mehr, es tut mir auch jetzt so wohl, daran zu denken, was ich für ihn getan, dass ich seine Niedertracht vergesse und meine eigene Güte bewundere, die seine Gemeinheit nicht verblassen zu lassen vermag.“
Und da sie auch dies erfasst hatten, lächelten sie versöhnt, klagten nicht mehr an, denn nur das Rätselhafte verursacht Leiden.

Il contesto nell’edizione russa

Затем он с грустью добавил:-он был моей плотью, ребенком моей сестры.
[…]
Затем они стали созерцать осень, …