Gennaio 2010
Mi
trovo ad Irkutsk dove sono venuta ad accompagnare alcuni studenti del liceo
“Grigoletti” al Forum “Eureka” destinato ad
alunni delle scuole d’ogni grado a cui hanno partecipato anche giovani
stranieri, invitati a presentare progetti ed invenzioni di loro ideazione. I
ragazzi italiani sono rientrati in patria ed io sono rimasta per una breve
collaborazione con l’Università di Lingue Straniere (che conta circa 5.000
studenti) dove la lingua italiana è stata inserita grazie all’opera dell’Associazione
Italia-Russie di Pordenone che presiedo.
Irkutsk,
capitale di una vastissima regione, si
trova a 5 fusi orari da Mosca, sulle
rive del lago Bajkal. Fu fondata nel 1661 dai Cosacchi inviati dai ricchi
mercanti Stroganov a conquistare la Siberia per impadronirsi delle sue pelli
pregiate - che usavano come moneta negli
acquisti di merce inglese e tedesca. Fu facile sconfiggere i mongoli che
popolavano questa terra grazie alla supremazia dei fucili sulle frecce.
La
città, originariamente un’ampia fortezza di legno, allargò a poco a poco la sua
cinta per includere territori sempre più vasti mano a mano che vi
approdavano contadini e povera
gente inviati dal governo zarista a
popolarla. Certo, erano tempi durissimi per queste persone, nonostante la
leggenda voglia che le donne che andavano a lavare i panni al fiume tornassero
con un bottino di lepri ed altri piccoli animali, tanto ricca era la zona di
selvaggina.
Irkutsk
crebbe di legno, ad eccezione di alcune chiese in pietra. Dopo l’ultimo grande
incendio del 1879 che ridusse in cenere la maggior parte della città, si
continuò a costruire con questo materiale, ma cominciarono a comparire anche
edifici di pietra.
Caratteristica
di Irkutsk sono tuttora intere strade delimitate da case di legno con le
facciate impreziosite da fini ornamenti
e intagli comunemente chiamati “merletto siberiano”. Negli ultimi tempi è stata
avviata una politica di protezione e restauro di questi edifici che solo pochi
anni fa venivano abbattuti per far posto all’edilizia sovietica e
post-sovietica. Una passeggiata per queste vie è come ripercorrere il tempo a
ritroso, ritrovarsi nella Russia di Cechov e Tolstoj respirata in tante loro opere.
In realtà la città rappresenta una
stratificazione di stili che, lungi dal creare un caos architettonico, le
conferisce un aspetto dinamico e
permette allo stesso tempo un interessante excursus storico: le case di legno
videro sorgere a cavallo dei secoli XIX XX edifici in pietra nello stile
eclettico europeo dell’epoca, con
facciate ricche di guglie, torricelle, cupole, corpi aggettanti, molto frastagliate ed ornate. Ma accanto a
queste sorsero le residenze-palazzo dei ricchi mercanti, edifici dai volumi
pieni e massicci che occupavano una bella
fetta di strada e rappresentavano il
risultato di una fusione di vari stili, dal moresco al gotico. Spesso arricchiti da ornamenti esterni a greca o festone dipinti a vivaci colori
rossi, verdi ed azzurri. appaiono in lontananza come delle grosse torte
cremose. E richiamano alla mente i gustosi ritratti di mercanti e mercantesse resi celebri soprattutto dal pennello di Boris Kustodev (1878-1927),
che con affettuosa ironia li ritrae
intenti a bere il tè dal piattino, robusti e con le guance colorite, avvolti in
panni costosi, ma di foggia provinciale, e sfoggianti grossi gioielli d’oro.
Negli anni 30-40 fa la sua comparsa il costruttivismo,
caratterizzato da essenzialità di linee e da un’assoluta assenza di ornamenti.
Corrisponde al nostro razionalismo ed
Irkutsk ne vanta alcuni interessanti esempi;
con l’avvento al potere di Stalin
esso deve cedere il posto ad un nuovo stile che riprende i motivi del neoclassicismo:
facciate lineari arricchite da elementi e fregi classicheggianti. Questo stile
è definito “empire staliniano” o “neoclassicismo o “ellenismo staliniano”.
Mentre nella capitale le grandi
proporzioni degli edifici e il colore giallo brunito della pietra conferisce loro un aspetto minaccioso, davanti
al quale l’individuo si sente
schiacciare, l’altezza e le dimensioni più limitate e l’intonaco a tenui tinte
pastello delle case staliniane di Irkusk,
rende piacevole una passeggiata per le vie
del centro.
Dopo
la morte di Stalin (che dissanguò il
popolo per costruire opere grandiose quali la
sfarzosa metropolitana, l’università ed edifici di pari importanza) Chruscev si trovò a dover affrontare il problema della realizzazione di
abitazioni per i suoi concittadini costretti per la maggior parte ad umilianti coabitazioni.
Nacquero così le “Chrusciovke”, di cui è
disseminata tutta la Russia, consistenti in edifici di 4 piani, fatti di pannelli prefabbricati o di mattoni e
senza intonaco, con appartamenti minimi, destinati a durare un certo numero di
anni per poi essere abbattuti. Ricordo che negli anni ’60 la costruzione di queste
case era
affidata a donne- muratori. Per riscaldarsi durante il lavoro invernale
esse accendevano dei falò all’altezza del piano in cui si trovavano. Le
chrusciovke, ribattezzate presto “trusciobke” (stanberghe) sono tuttora ampiamente abitate. In una di esse ad Irkutsk vive una donna di
origine italiana, discendente da uno di quei friulani emigrati in Russia
all’inizio del secolo scorso per lavorare alla costruzione della transiberiana.
Questa però è un’altra storia.
Con
il passaggio dall’Unione Sovietica alla Repubblica Federale Russa una gran
parte dell’edilizia è transitata in mani
private e la tendenza sia pubblica che privata, laddove ci siano soldi, è di
competere con l’edilizia occidentale più all’avanguardia.
Ma
l’architettura più bella di Irkutsk, quella che conferisce un particolare
fascino alla città è data dalla sua natura d’acqua (il fiume Angarà), di verde (la taigà ora imbiancata), di ampi spazi. Forse sono proprio spazio e
natura ad imprimere nei russi quei lineamenti di carattere fatti di coraggio,
amore per il proprio paese, sentimentalismo e temerarietà, il senso infine che
la vita vada vissuta, non gelosamente custodita.
Moroz, kraznyj nos (Gelo, naso rosso)
Moroz, krasnyj nos ( Gelo, naso
rosso) è un poemetto scritto dal poeta
Nikolaj Nekrasov alla metà circa dell’800, ma in questi giorni in cui ad
Irkutsk il termometro oscilla di giorno tra i 36 e i 29 gradi sotto zero, il
naso diventa blu.
Eppure
le persone vanno al lavoro come ogni
giorno, camminando velocemente per la strada mentre nuvolette di vapore chiudono
in piccole aureole i loro visi. (Ciò non fa che accrescere la grazia ed
eleganza delle numerose bellezze locali i cui volti sono incastonati entro la
cornice di pelliccia pregiata di cappucci e colbacchi). Le macchine corrono
entro tunnel di fumo bianco. Il sole che splende dà un’illusione di tepore se lo si guarda dalla finestra, in realtà rende il
gelo più spietato e il ghiaccio sulle strade più scivoloso.
In città la la vita continua al solito modo,
le bancarelle poste all’esterno del mercato coperto sono ingombre della loro povera
mercanzia, guanti, calze, biancheria di poco prezzo, semi, frutta congelata; le
botteghe a cielo aperto di qualche artigiano, per lo più fabbricante e
riproduttore di chiavi “sono aperte” tutto il giorno, e accanto a loro stanno
pazienti i titolari buriati –( discendenti dai mongoli sconfitti dai cosacchi) in
attesa di clienti, i visi resi paonazzi dal freddo e dal sole, e gli resta il
fiato per invitare a comprare o assaggiare la loro merce. I mendicanti occupano
le loro consuete postazioni sulla strada, i visi blu non si sa se più per il
gelo o la vodka
Ha
telefonato la mia amica Elvira, scrittrice che si è occupata in particolare
della presenza italiana alla costruzione della ferrovia transbajkaliana, e mi
ha chiesto perché non mi facevo viva. Ho risposto che il freddo aveva un po’ allentato il mio desiderio di passeggiare per la città e
lei di rimando.”quale freddo, si sta appena bene!”. Le piace sempre minimizzare
e mostrarsi aldisopra delle debolezze altrui.
Ma
è un fatto che i russi amano l’inverno, soprattutto quando è accompagnato da
forti “morozi” (geli). Li ho sentiti spesso vantare la loro “chorosaja zimà”,
il loro bello e sano inverno. E gli irkutjani mi dicono che erano dieci anni
che non c’era un inverno così, gli ultimi erano stati tutti molto fiacchi. Gli inverni fiacchi sono anche
chiamati “sirotskie”, inverni “da orfanelli”. La spiegazione dell’uso di questo
aggettvo è semplice nella sua crudità:
negli inverni che non si distinguevano per particolare gelo, gli orfanelli,
sempre insufficientemente impannucciati, riuscivano a sopravvivere, negli altri
perivano.
IL mercato
l mercato coperto è affascinante, c'è una grande abbondanza di
generi alimentari, disposti con grande senso coreografico e del colore, dietro
ai quali spuntano i visi, spesso
olivastri, di venditrici provenienti dall'Asia Centrale ."Ty uvidela
(hai visto?) ,- mi dice l’amica Rimma -vse cjucbieki" (termine
dispregiativo per indicare appunto tale provenienza, "tutti cjucbjeki).
Anni fa, con lo stesso tono diceva "vse cernozopy" ( tutti culi
neri), indicando i caucasici che ora hanno ceduto il posto ai centroasiatici.
Come si vede, paese che
vai, razzismo che trovi, solo, quello degli altri fa più effetto del tuo personale.
Ma non è vero che siano tutti provenienti da là: il settore
delle carni che si stende lungo intere pareti del mercato è quasi tutto in mano
a donne russe dai capelli giallo paglierino, che insieme alle carni da
cucinare espongono i propri, robusti quarti, braccia come cosciotti rosa di
maialini. Qualche piccolo chiosco di dolci e caramelle incornicia invece
visi di ragazze dai capelli color lino, così belli che sembra di
guardare una cartolina.
Ed è molto simpatica da vedere anche la
fila delle donne russe e buriate, in
camice e copricapo bianco, che tengono
sui loro banchi secchi pieni di ricotta e panna acida di loro produzione e offrono assaggi della loro merce da mestoli
ricolmi.
Ah, a
proposito di quelli che non sono nè
cjucbieki nè cernozopy, la Rimma dice
“vse jevrej” ! (tutti ebrei)
.
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