Piranesi
da Immagini d'Italia di Pavel Muratov
Piranesi fu l'ultimo fenomeno
del genio artistico di Roma. Comparve proprio nel momento in cui in
questa stava venendo meno la multisecolare collaborazione tra arte e
natura. Quando il secolo diciottesimo apportava nella
rappresentazione della città le ultime linee architettoniche e
insieme pittoresche, toccò a Piranesi il compito di eternarle
nelle sue incisioni. Le opere recenti della città dei papi, la
Fontana di Trevi, la villa Albani, il Casino di villa Panfili vi
appaiono accanto alle rovine della Roma classica. Rovine che
sembrano essere sorprese dall’artista nelle ultime ore della loro
selvatica naturale e intatta grandezza, alla vigilia
dell'incursione nella loro profonda quiete di ricerche scientifiche,
cure conservative e della moda del classicismo.
Nella
creazione di questa moda ebbero una grande parte le incisioni di
Piranesi e le sue conoscenze, basate su una lunga consuetudine con
le antichità, furono di grande aiuto agli studi archeologici. Il
fatto che aiutasse la scienza e contribuisse grandemente al gusto
neoclassico dell'epoca, non lo avvicina comunque agli scienziati e ai
dilettanti del XVIII secolo. Gli sono altrettanto estranei la
capacità di meditazione, di generalizzazione e di contemplazione
goethiani. L'amore per l'esagerazione e l'estremo, il talento
drammatico e l'indole irrequieta ne avevano fatto un naturale
romantico. Del mondo classico lo attiravano non tanto la maestosità
della creazione quanto la grandezza delle rovine. La sua
immaginazione era colpita più che dall'opera delle mani umane, dal
tocco su di loro della mano del tempo. Nello spettacolo di Roma egli
vedeva soltanto il lato tragico delle cose e perciò la sua Roma ne
uscì anche più grandiosa di quanto non fosse mai stata nella realtà
.
Nel
carattere di Piranesi c'era molto dell'avventuriero. La sua vita
scorreva con ritmo ineguale e irruente. Egli era nativo di Venezia,
vecchia città di avventurieri e di romantici. Suo padre era un
semplice scalpellino. Fin dagli anni infantili Piranesi disegnava e
si preparava a divenire architetto e incisore. Le sue precoci
capacità e la rara bellezza lo resero presto noto non soltanto nel
suo quartiere, ma anche a Rialto. Iniziò a sognare Roma ancora
giovinetto quando si invaghì di una ragazza da poco giunta da questa
città che gli raccontava ogni meraviglia della stessa. A 18 anni
egli era già a Roma senza possedere nulla tranne la benedizione
paterna e sei monete d'argento al mese .
La
storia di come il giovane Piranesi si conquistasse a Roma la fama di
artista e la possibilità di mantenersi deve contenere pagine di
straordinaria energia. La ferma fede nella sua vocazione lo aiutò a
vincere tutti gli ostacoli. Gli accadde di patire la fame per mesi
interi e spesso il destino lo portò a sperimentare il tipo di vita
di quegli accattoni romani che egli amò tanto, in seguito, raffigurare
tra le antiche rovine. Le grandi difficoltà gli procurarono un
temperamento irascibile, scontroso e indomabile. Non una sola volta
fu sul punto di compiere un delitto. Avendo saputo che l'incisore
Vasi presso il quale egli era apprendista gli nascondeva vari segreti
del mestiere egli tentò di ucciderlo e solo per caso evitò la
prigione. Tra tutte queste casualità - strana, ma però felice - fu
quella del suo matrimonio. Un giorno mentre sedeva e disegnava in
Campo Vaccino, l'antico Foro, una ragazza che passava di lì in
compagnia del fratellino attrasse la sua attenzione per i suoi occhi
neri e la figura slanciata. Cominciò a chiacchierare con lei e
apprese che era la figlia del giardiniere di Villa Corsini. Gettata
la matita egli scattò subito in piedi e chiese immediatamente se
voleva sposarlo. La risposta affermativa gli permise di condurre
l'affare in modo tale che i genitori della ragazza non ebbero né
tempo né modo di rifiutare. Cinque giorni dopo questo avvenimento
egli festeggiò le sue nozze. Le 150 piastre portate in dote dalla
sposa gli diedero infine un po di tregua dal bisogno.
Le
visioni che affollavano la mente di Piranesi durante la giovinezza e
la febbre da cui era presa la sua immaginazione sono testimoniate
dalla serie allora prodotta, di acqueforti fantastiche, le cosi
dette Carceri . Sono strane e spaventose visioni di carceri
strapiene di strumenti di tortura. De Quincey le descrive nelle sue
Confessions of an opium eater : “ Alcune di queste
incisioni raffigurano alte sale gotiche in cui sono disposti congegni
e macchinari: ruote, gru, corde, leve che rivelano un’ enorme
potenza e la capacità di vincere ogni resistenza. Vedete la scala
salire a volute lungo la parete e su di essa arrampicarsi fino alla
cima lo stesso artista. Seguite ancora un po' il suo cammino e
vedrete che la scala arriva ad una improvvisa interruzione senza
alcuna balaustra e così colui che sale su di essa non può che
cadere nel baratro. Cosa sarà del povero Piranesi ? - si può per lo
meno sperare che questa sia la fine del suo difficile viaggio. Ma
levate gli occhi più su e vedrete una seconda serie di scale ancora
più in alto della prima e Piranesi è proprio là, sull'orlo
dell'abisso. Levate ancora gli occhi e vedrete scale ancora più
aeree e ancora una volta il povero Piranesi compie la sua impresa di
ascensione. E così via, finché alla fin fine sia le scale che si
interrompono che Piranesi insieme ad esse non scompaiono nella
oscurità che avvolge la sommità della sala. Proprio questa stessa
forza di eterno rinnovamento e ripetizione appariva nell'architettura
che io ho visto nei miei sogni”.
Perfino
nel delirio delle Carceri Piranesi rimase un meraviglioso
architetto. Attraverso l'ingegnoso garbuglio di scale, passaggi e
macchine misteriose le prigioni della sua fantasia rivelano spazi
perfettamente distribuiti e prospettive infinite. La cosa più
spaventosa in questi disegni è, sembra, il peso colossale e la
possanza delle pareti di pietra, delle volte, degli archi e dei
pilastri. Quale impressione dovevano fare a Piranesi le masse di
pietra della Basilica di Costantino e delle terme di Caracalla! A lui
non capitò quasi mai di costruire qualche cosa. Rimane soltanto
l'abbozzo di alcuni fantastici ed enormi edifici di architettura
classica. Né i faraoni d'Egitto, né gli imperatori di Roma
sarebbero stati così potenti da costruire questi edifici per le
cui grandiose scale avrebbero potuto salire interi popoli e sotto
i cui archi dallo slancio impetuoso avrebbero potuto trovar posto
intere città .
Ma
né le Carceri né queste fantasie procurarono fama a
Piranesi. Essa gli arrivò quando iniziò a stampare le sue vedute
delle rovine di Roma. Queste vedute e raffigurazioni di oggetti
artistici antichi – vasi , candelabri , tripodi – occuparono la
parte più cospicua della sua oeuvre gravéé di
quasi 1500 fogli. Quantità che testimonia la sua sconfinata energia:
non solo egli non conosceva mai la stanchezza, ma ciascuno dei suoi
fogli reca su di sé l'impronta di un entusiasmo appassionato. Le
rovine di Roma non cessavano mai di destare entusiasmo nel suo animo
e nella sua immaginazione. Amava errare tra di esse alla luce della
luna sforzandosi di trovare la loro vera essenza nei decisi contrasti
tra luce e ombra. Conoscendo soltanto due colori, nero e bianco,
Piranesi seppe essere un notevole colorista. Le buone prove delle sue
acqueforti si distinguono per l’incomparabile profondità e il
carattere vellutato della tonalità di nero. Le sue incisioni possono
decorare una parete meglio di qualsiasi quadro.
Lavorando
fra le rovine di Roma, egli certamente non pensava a quegli
estimatori che iniziarono poi ad abbellire con le sue vedute romane
le loro stanze arredate con i mobili di Chippendale e di Robert Adam.
Non prestava alcuna attenzione neanche al fatto che questa
straordinaria produttività diminuiva i prezzi dei suoi fogli. Viveva
in un mondo strano di muri capovolti e invasi dalla vegetazione, di
lastre fratturate, di bassorilievi accatastati l'uno sull'altro, di
altari smangiati dal tempo. Caproni selvatici dalla lunga barba
pascolano in mezzo a loro cercando l'erba oppure vagano cola'
inquiete figure romantiche di uomini gesticolanti che appaiono una
via di mezzo tra briganti, mendicanti e appassionati di antichità
.
Lo
stesso Piranesi fu simile ad uno di essi quando si fece strada
attraverso la boscaglia che circondava allora Villa Adriana. La
morte lo colse proprio mentre lavorava alla raffigurazione delle sue
rovine. Fece anche a tempo a fare relativamente alla pianta e
disposizione della villa geniali congetture geniali che furono in
seguito confermate dagli studi degli archeologi. Anche se la sua
conoscenza delle antiche rovine era precisa, avendo familiarità con
esse come nessun altro, tuttavia non era per niente interessato a
rappresentarle in modo letterale. Egli trasmetteva l'idea della
grandiosità con quella forza con la quale la sentiva lui stesso,
cioè di alcune misure maggiore di quanto non la senta l'uomo
comune. Per lui gli archi trionfali, i templi e i ponti romani non
erano creazioni umane ma opera di eroi. Le semplici lastre di
pietra sulla sua Via Appia sono da lui raffigurate con una potenza
straordinaria, quella che era nella sua stessa anima. La sua anima
prendeva dimora nelle pietre delle antiche costruzioni ed era come se
i suoi aliti agitassero le erbe striscianti che penzolavano dai
cornicioni e dai frontoni .
Per
Piranesi che conosceva perfettamente il luogo, la veduta generale e i
dettagli di ogni rovina romana non bastava soltanto uno studio
tranquillo e dettagliato. La sua immaginazione amava riunire tutte le
forme e le linee pittoresche delle rovine in una unica visione
complessiva. Fanno da frontespizi delle raccolte delle sue Vedute
Romane le raffigurazioni delle antiche strade della città che si
perdono nell'infinito, ai lati delle quali si elevano colossali
edifici. Essi ricordano i mausolei lungo la Via Appia, ma sono
ingranditi di decine e centinaia di volte. Essi si accumulano l'uno
sull'altro in molti piani. Legioni di statue in frantumi, mucchi di
obelischi, vasi, urne, sarcofagi, altari, bassorilievi, erme,
capitelli e maschere li coprono. Alberi cui si avviticchia l’ edera
protendono i rami tra di loro. Accanto ad essi le piccole figure
umane sull'antico lastricato appaiono pigmei. Davanti a simili
montagne di sculture di marmo e di forme architettoniche ti senti
schiacciato. Occorreva essere Piranesi per non sentirsi così !
Occorreva
essere nato folle romantico per cercare il tragico nelle rovine di
Roma con tale determinazione ed eterna inquietudine spirituale. Il
destino costrinse l'arte a dire l'ultima parola a Roma con le
incisioni di Piranesi. Il il pathos della distruzione fu il
soggetto di quest’ultima tra le grandi arti fiorite a Roma.Da Immagini d'Italia di Pavel Muratov (1881-1950,) vol. II, , Berlino 1912 Traduzione di Paola Boranga e Antonia Dominco
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