Un Brjullov che non ti aspetti in un acquerello ritrovato


L'acquerello con una generica attribuzione a Brjullov (cm. 22,5 x 27,4) passato anni fa in una vendita all’asta in Germania e ora in collezione italiana, già con la stupefacente bravura tecnica, la ricca ideazione della scena (cinque personaggi, come in un quadro storico), gli innumerevoli rimandi ad altre opere dello stesso artista, giustificava appieno l’etichetta illustre, che trovava riscontro anche nella precisione con la quale vi è descritta la situazione psicologica dei protagonisti: la moglie angosciata, il medico che vorrebbe rassicurarla, la nonna che cerca di distrarre il bambino. 
La paternità brjulloviana è diventata certezza quando l’acquerello è stato identificato come quello denominato 'Bol'noj' da Stasov e Somov e con lo stesso nome incluso dalla Acarkina nell'elenco delle opere di ignota collocazione (Brjullov, Vita e Opere, Mosca 1963, pag. 478). 
Si tratta dunque della riscoperta di un’opera di grande qualità, intensa e complessa, della quale si erano perse le tracce già alla fine dell’800. Ma il ritrovamento è importante anche perché ‘Bol’noj’, pur appartenendo al ‘genere italiano’, si distingue nettamente dalle opere realizzate dal grande artista russo durante il suo primo soggiorno in Italia tra il 1822 e il 1835. 
Gli acquerelli di quel periodo erano destinati sopratutto ai viaggiatori stranieri che volevano tornare in patria con immagini che confermassero lo stereotipo dell'Italia come il paese della bellezza, dell'amore e della gioia. 'Bol'noj' ci mostra invece una realtà ben diversa. Con il marito pallidissimo, prostrato dalla malattia - probabilmente malaria - il medico che ne sente il polso, la moglie che aspetta atterrita il suo responso, Brjullov ci racconta, per la prima volta, che anche in Italia esistono il dolore, la sofferenza, forse la morte. La stanza del malato è perciò l'equivalente del cippo funerario e del teschio che nei dipinti del Guercino e di Poussin rivelano ai pastori che la morte esiste anche in Arcadia: Et in Arcadia ego, appunto.

Pablo Picasso, "Scienza e carità" 
Ma quella dipinta da Brjullov non è l'Arcadia, è una casa del suo tempo, abitata da persone vere, che non sognano ma vivono una realtà anche difficile. Dunque Bolnoj è un’opera realista in anticipo sui tempi. Si dovrà aspettare fino alla metà degli anni ‘60 perché una scena pressoché identica diventi il soggetto di un quadro di Nikolaj Nevrev, membro del gruppo dei peredvizniki, che certo non amavano la pittura di Brjullov. Lo stesso tema sarebbe stato ripreso dai pittori veristi di tutta Europa: fino, pensate un po', a 'Scienza e carità', dipinto nel 1897 da un sedicenne che rispondeva al nome di Pablo Picasso. 
Per quanto riguarda la data di esecuzione, il soggetto decisamente poco ‘commerciale’ fa pensare che Bol'noj sia stato dipinto non in Italia per i turisti stranieri, ma più tardi, dopo che Brjullov era tornato in Russia per lavorare alla decorazione della chiesa di Sant'Isacco e assumere poi l'incarico di professore dell'Accademia di Pietroburgo. Quando, come ricorda la Evgenia Petrova, diceva: 'ora non lavoro più per i soldi, ma lavoro gratuitamente per i miei amici di Mosca'. 
Una datazione precisa risulta comunque difficile perché Brjullov era solito riutilizzare personaggi, ambienti, oggetti tratti da sue opere precedenti. In Bol’noj l’ambiente è quello dei ‘Sogni’ e della ‘Famiglia italiana’, la moglie somiglia alle donne dell’Ultimo giorno di Pompei, il marito è nella stessa posizione della novizia che sogna il principe azzurro, mentre la luce attenuata e le ampie e compatte aree a bassa tonalità cromatica rimandano al ritratto del conte Aleksej Tolstoj, del 1836, o a quello della ‘Giovane donna con pianoforte' del 1839. Il marcato abbassamento dei toni rispetto al cromatismo scintillante delle opere giovanili è stato collegato da Dmitri Sarabjanov alla delusione e al pessimismo di Brjullov per la involuzione in senso illiberale della società russa durante il regno di Nicola I. Ma nella biografia di Brjullov vi sono altri momenti che potrebbero giustificare una collocazione ancora più tarda del acquerello. 
Il primo è il rapporto di stima e di amicizia che si era creato con Pavel Fedotov, che con le sue 'commedie sociali' immetteva aria nuova nella pittura accademica. Il secondo momento è quello del brusco declino delle condizioni di salu nostro te dello stesso Brjullov. Potrebbero essere state queste due circostanze a dargli l'idea di riunire per l’ultima volta i suoi amati personaggi italiani e di mostrarceli, anziché nelle solite scenette divertenti e ottimistiche, in un momento della vita reale: non più giovanissimi, alle prese con la malattia e il dolore. In tal caso la datazione di 'Bol'noj' slitterebbe molto più avanti, a ridosso di quell’altro capolavoro di psicologia che è „Il ritorno del papa a Roma“‚ del 1850, nel quale l‘attenzione di Briullov si sposta dall‘occasione solenne allo scambio di occhiate maliziose tra l‘ussaro napoletano e la giovane signora che gli avvicina una sedia. Un dialogo muto che fa il paio con quello, ovviamente di altro tenore, tra il medico e la moglie angosciata. E, aggiungiamo, anche nel dipinto del 1850 troviamo macchie di colore scuro che si presterebbero, come quelle di Rorschach , a una lettura subliminale. 
In conclusione, Bol’noj’ potrebbe essere assegnato al periodo in cui Brjullov, di nuovo in Italia, la guardava con la malinconica simpatia che traspare dagli schizzi dei lazzaroni napoletani. Il che farebbe di ‘Bol’noj’ l’ultima tappa del suo viaggio à rébours, sulle tracce della giovinezza e della salute perdute. 

1 commento:

antonia ha detto...

Un classico soggetto da iconodiagnosi: il pallore cinereo e l'aria spossata del malato, il mantello gettato sopra di lui per riscaldarlo quando fuori sembra essere un tardo pomeriggio d'estate, l'aria tranquilla del medico, tutto fa pensare a un attacco di febbre terzana, cioè di malaria, diffusissima sopratutto nell'Italia centro-meridionale.