Stavamo progettando un nuovo viaggio in Russia e Pietro aveva proposto Mosca, anche se era una meta più volte percorsa, e a me che insistevo per andare ad esplorare spazi russi ancora sconosciuti, replicava che desiderava ritrovare le emozioni che gli avevano dato certe vie, certi luoghi della capitale.
Ci aveva trascorso 5 anni come inviato del Corriere della Sera, in un periodo storico non sospetto, cioè di esplicita guerra fredda, vale a dire la fine degli anni '60 e l'inizio dei '70, durante il regime brezneviano. Allora le sue corrispondenze dall'Urss erano lette con molto interesse, tanto poco poteva altrimenti trapelare oltre la cortina di ferro.
Per quanto fosse stato, prima di questo incarico, e destinato poi, in altre prestigiose sedi quali, Londra Bruxelles Hong-Kong e Bonn, era sentimentalmente legato alla Russia dove era stato spesso negli ultimi anni. Cercava in essa quel sentimento religioso, unico nella sua umiltà e universalità che permea le pagine dei libri dei grandi scrittori e si respira nelle chiese russe, durante le funzioni del tardo pomeriggio dove i fedeli, esaurite le brighe quotidiane, entrano per riprendere il dialogo con Dio e ritrovare se stessi.
La morte l'ha colto così di sorpresa che forse non se ne è neanche accorto e (così ce lo immaginiamo) continua a progettare itinerari che lo riconducano a Mosca.
La fotografia, di inizio settembre 2015, lo ritrae a Suzdal' in attesa dell'autobus per Vladimir.
